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MAX LEOPOLD WAGNER: UN VIAGGIO NELLA NOSTRA TERRA, LA SARDEGNA

In previsione della giornata mondiale della fotografia vogliamo rendere omaggio a un etnologo, linguista e filologo tedesco Max Leopold Wagner. Considerato il maggior studioso della linguistica sarda che ha fatto della fotografia il suo mezzo di indagine distintivo.

Cosa ci lega a lui? La volontà di narrare la vera essenza della nostra isola, di far emergere i suoi tratti distintivi e le sue caratteristiche intrinseche.

Cagliari, foto di Max Leopold Wagner - fonte: Sardegna Digital Library

Nato il 17 settembre del 1880 a Monaco di Baviera e morto a Washington il 14 luglio del 1962, Wagner fu un acuto indagatore delle condizioni linguistiche e culturali di tutta l’area mediterranea. Tra i suoi innumerevoli studi vogliamo ricordare quelli condotti a Firenze alla scuola di Parodi, Rajna e Mazzoni nel 1902. Fu proprio in quest’occasione, leggendo una monografia che prendeva in esame la lingua del Condaghe di San Pietro di Silki, (uno dei più importanti documenti del logudorese medioevale), che ebbe il primo contatto con la nostra isola.

Rimasto profondamente affascinato dalle problematiche linguistiche e culturali della Sardegna, al suo ritorno in patria e durante la ripresa degli studi universitari a Monaco e Würzburg, Wagner, scelse autonomamente come tema per la tesi di laurea l’analisi della formazione delle parole in sardo. Per questo lavoro di tesi il Senato Accademico dell’Università di Monaco assegnò a Wagner il premio Döllinger, grazie al quale egli poté recarsi in Sardegna.

Nel 1904-05, visitò in lungo e in largo l’Isola, con l’obiettivo di immergersi nella conoscenza delle sue genti, della sua lingua e le sue radici culturali. In modo particolare, condusse indagini in ben 75 località al fine di documentare le sfumature fonetiche dei vari dialetti parlati.

Cagliari, foto di Max Leopold Wagner - Fonte: Sardegna Digital Library

In quasi sessant’anni di attività scientifica Wagner ha dedicato al sardo una miriade di scritti, da cui dipende buona parte di ciò che oggi sappiamo attorno a questa lingua. Ciò che lo contraddistingueva era il non voler essere un mero compilatore di una “lista di parole”, ma un vero conoscitore dall’interno della cultura che andava esaminando, e nel fare ciò decise di abbracciare anche come strumento documentario il mezzo fotografico.

Le sue fotografie infatti sottolineano il modo totale che aveva di accostarsi alle comunità, compiutosi assecondando dapprima istintivamente una personale inclinazione poi diventata metodo scientifico. Soggiornò praticamente sull’intero territorio regionale in ripetuti viaggi dal 1905 al 1927. In tali occasioni ribaltò tanti luoghi comuni intorno ai sardi, comprendendo e descrivendo gli isolani con tale acutezza da sentirsene parte.

Pur utilizzando una camera 9 x 12 e impiegando un cavalletto, le sue foto presentano vari difetti, come sfocature, sovra e sottoesposizioni, segni di impronte digitali sulle pellicole, graffi e segni sui negativi. Questi problemi non derivano solamente dalla conservazione scorretta delle immagini, ma mostrano anche una certa mancanza di cura o abilità tecnica nell’aspetto formale e tecnico dell’operazione fotografica.

Domus De Maria, foto di Max Leopold Wagner - Fonte: Sardegna Digital Library

Probabilmente, Wagner adottò un tipo di approccio fotografico documentale, giunto a noi in forma frammentaria e con evidenti lacune. Esso si basava su diversi livelli di registrazione visiva. Inizialmente, si cercava di catturare il villaggio nel suo insieme da una prospettiva distante, integrandolo nell’ambiente paesaggistico circostante. Successivamente, l’obiettivo si avvicinava gradualmente e le fotografie si concentravano sulle vie del villaggio e, dove possibile, si spingevano persino all’interno delle strade e oltre la soglia delle abitazioni. Quest’ultima fase rappresentava una sfida maggiore, in cui lo sguardo fotografico si soffermava sugli abitanti e sulle loro svariate strumentazioni.

In conclusione riportiamo un passaggio tratto da una lettera manoscritta che lo studioso inviò da Cagliari il 21 febbraio 1926 al suo amico e collega svizzero Karl Jaberg. che mostra chiaramente il suo grande interesse per la Sardegna.

«Sono consapevole che da più parti mi viene rimproverato il fatto di essermi dedicato “troppo” al sardo. Questo lo dicono soprattutto coloro che ritengono naturale dedicare la vita intera al francese o al provenzale antico. E visto che ormai, un po’ per caso, un po’ per interesse, in questo settore mi sento “a casa mia”, non vedo motivo alcuno per abbandonarlo senza che ciò mi impedisca di fare escursioni anche in altri campi»